Questo sito utilizza soltanto cookie tecnici per offrirti una migliore esperienza di navigazione.

Leggi la Cookies policy
vai al contenuto vai al menu principale

Il comune di Unione Montana Mombarone appartiene a: Regione Piemonte (Apre il link in una nuova scheda)

Fauna

Le superfici forestali dell'UMM svolgono nell’ambito dei singoli comuni azione di protezione nei
confronti della fauna selvatica, in quanto all’interno delle stesse gli animali possono trovare rifugio;
la fauna selvatica che svolge maggiore interazione con la componente boscata è costituita dai mammiferi, principalmente caprioli e cinghiali
Il camoscio alpino (Rupicapra rupicapra, Linnaeus 1758) è un mammifero artiodattilo appartenente alla famiglia dei Bovidi. Di aspetto molto simile alle capre, viene incluso con esse e con le pecore nella sottofamiglia dei Caprini. È piuttosto simile al camoscio dei Pirenei (Rupicapra pyrenaica) e al camoscio appenninico o d'Abruzzo (Ssp. Rupicapra pyrenaica ornata), endemico dell'Appennino centrale e considerato a sua volta, una sottospecie del camoscio dei Pirenei.

I resti fossili più antichi di camoscio sono stati rinvenuti sui Pirenei e risalgono a 250-150 000 anni fa (Glaciazione di Riss).

La massima diffusione della specie si ebbe tra gli 80 000 e i 12 000 anni fa (Glaciazione di Würm): in quest'epoca, spinto dall'incalzare dei ghiacciai, il camoscio si distribuì in quasi tutta l'Europa centrale e in parte di quella centromeridionale.

Le successive mutazioni climatiche ed ambientali privarono questo ungulato (nelle zone meno elevate) dell'habitat idoneo alla sua sopravvivenza; conseguentemente il suo areale si ridusse e frammentò e incominciarono così a differenziarsi le diverse sottospecie.

Oggi il camoscio è presente nei sistemi montuosi del centro e del sud dell'Europa: Alpi francesi, Alpi italiane, Alpi svizzere, Alpi austriache, Alpi bavaresi, Liechtenstein, Catena del Giura, Slovenia e Balcani. A seguito di reintroduzioni, la specie è presente nella Foresta Nera, nei Vosgi; dal 1978 anche nel Cantal del Massiccio centrale francese. A nord raggiunge gli Alti Tatra.

Agli inizi del Novecento è stato introdotto in Nuova Zelanda.

In Italia è diffuso sui pendii montani delle Alpi con una popolazione che nel 1995 contava più di 100 000 unità e che è in espansione: 124 000 nel 2008, di cui 19 500 in Lombardia.
La maggiore presenza di individui è riscontrabile nelle province di Trento, Bolzano e Verona (Prealpi Veronesi) ed in Piemonte, nei cui territori risulta al momento concentrato il 62% dei camosci alpini italiani.
Il suo limite meridionale in Italia è nella Provincia di Imperia, ove vi è una popolazione stanziale sul Monte Grammondo a circa 6 km in linea d'aria dal mare; inoltre sempre in Provincia di Imperia, grazie ad alcune particolarità del territorio, presenta una delle camosciare più basse come quota (Drego, ad una quota inferiore ai 1000 m s.l.m.) Vi è una presenza di camosci anche nella contigua Provincia di Savona nella zona dal Monte Galero, oggi nuovo limite meridionale della distribuzione, anche se la presenza è dimostrata solo in modo stagionale e il numero di soggetti presenti è ancora troppo basso per sopportare un eventuale evento avverso. Dal 1994 si è insediato nel Carso triestino un piccolo gruppo di camosci probabilmente a seguito di una immissione illegale: questo evento ha spinto la Provincia di Trieste ad avviare uno studio per valutare la compatibilità della specie con l'ambiente locale; allo stato attuale, la popolazione si può ritenere stabile ed oltre i livelli di salvaguardia, creando un primato per la specie, sia per la distanza dal mare, sia per le quote basse.

Il camoscio è un ungulato che, per forme e dimensioni corporee (è il più piccolo tra i rappresentanti della sottofamiglia dei Caprini) e per la sua agilità, è assai più prossimo alle antilopi e alle saighe che non agli altri Bovidi che oggi condividono con lui l'ambiente alpino: stambecco (Capra ibex), muflone (Ovis musimon) e Capra selvatica (Capra aegagrus).

I camosci possono raggiungere in teoria i 25 anni di età, ma in realtà pochi superano i 15-16 anni.

Dai 10 anni inizia la fase di "vecchiaia", il loro peso diminuirà costantemente fino alla loro morte. Il pelo perde il proprio colore diventando man mano sempre più grigiastro.
Da questa età in avanti inizia ad aumentare il tasso di mortalità, che cresce ulteriormente superati i 14-15 anni. Il fattore che più incide in tale crescita è l'usura dei denti: essa condiziona talmente la capacità di procurarsi il cibo che pochissimi individui sono in grado di superare i 21-22 anni.

I capretti (gli individui al di sotto di un anno di età) hanno un'aspettativa di vita del 50-70% in inverno e del 90% circa in estate.

Il camoscio viene descritto come un animale "gregario" da A. Kramer e W. Schröder, e il comportamento sociale, sempre secondo Kramer, sembra essere legato all'esistenza di gerarchie all'interno dei gruppi.

In realtà, essendo l'organizzazione sociale di una specie in stretta relazione con il comportamento degli individui che la compongono, questa definizione risulta essere valida soprattutto per le femmine. Queste ultime, infatti, vivono per la maggior parte dell'anno in gruppi di dimensioni mutevoli, regolati da diversi fattori: disponibilità alimentare, condizioni morfo-climatiche del territorio, struttura e densità della popolazione, comportamenti riproduttivi. Questi gruppi, oltre che dalle femmine, sono formati dai capretti e, talvolta, anche da qualche giovane di 2-3 anni.

Il tratto più evidente dell'organizzazione sociale dei camosci è la segregazione sessuale. Infatti, durante la maggior parte dell'anno, ad eccezione del periodo riproduttivo, gli adulti dei due sessi vivono, anche geograficamente, separati e questa tendenza si rafforza con l'età.

I maschi sub-adulti (3-5 anni) tendono a vivere isolati o aggregati in piccoli gruppetti (2 o 3 individui), sono molto mobili sul territorio e compiono spostamenti altitudinali di una certa importanza.
I maschi adulti tendono ad essere solitari e, durante l'anno, frequentano aree di 300-500 hm², solitamente a quote inferiori rispetto alle femmine


Il capriolo (Capreolus capreolus, Linnaeus, 1758) è un ungulato diffuso in Europa e Asia.

Il capriolo è un cervide di piccole dimensioni, lungo 90–130 cm, alla spalla alto 55–77 cm. Pesa tra i 10 e i 35 kg.

È di un colore tra il rosso e il marrone, il muso verso il grigio; il mantello è fulvo in estate. La gola, le parti ventrali e la regione perianale, detta "specchio anale", sono bianche. La coda è cortissima e non emerge dal pelo; nella femmina c'è un ciuffo di peli color crema che ricopre l'apparato genitale, chiamato "falsa coda". Il maschio possiede piccoli palchi, in genere con tre punte per lato nei soggetti adulti; questi cadono ogni anno, da ottobre a dicembre, e ricrescono alla fine dell'inverno. I palchi sono costituiti da tessuto osseo.

Mangia diverse volte al giorno (dalle 8 alle 12), in estate si nutre anche di notte. L'alimentazione consiste in erbe diverse, corteccia, foglie, germogli di latifoglie, conifere e frutti.

È diffuso in gran parte dell'Europa continentale e in Gran Bretagna, mentre è assente in Irlanda e nelle isole del Mediterraneo. In Italia si trova sulle Alpi e sugli Appennini. Si era fortemente rarefatto in Italia nel secolo XX a causa della caccia eccessiva e della forte deforestazione della pianura, collina e montagna permessa dalla prima legge forestale italiana (L. n. 3917/1877). A cominciare dagli ultimi decenni del secolo la specie ha ricolonizzato spontaneamente le Alpi e gli Appennini settentrionali, mentre negli Appennini centrali e meridionali si è diffusa grazie a numerose reintroduzioni in parchi, riserve e foreste demaniali. Nei primi decenni del XXI secolo si è assistito alla lenta ricolonizzazione dei boschi della Pianura Padana, in particolare di quelli nel Parco del Ticino, ma anche nei recenti rimboschimenti realizzati lungo il Po grazie ai contributi dell'Unione europea e lungo gli altri assi fluviali principali, come il Reno.

Alcuni esemplari della sottospecie tipica sono stati recentemente inseriti all'interno del Parco dei Nebrodi, in Sicilia. Si tratta di esemplari provenienti dall'Emilia-Romagna e concentrati nella zona di Galati Mamertino, nell'ambito di un progetto di reintroduzione della specie.

Il capriolo è diffuso sia in boschi aperti - in cui il sottobosco è fitto - e inframmezzati da radure e zone cespugliose, sia in pianura, compresa quella coltivata, anche con metodi intensivi, purché trovi boscaglie in cui rifugiarsi. Si trova comunque anche in collina, in montagna e nelle zone umide. Sulle Alpi lo si può osservare durante l'estate nei pascoli fino a 2400 m s.l.m., mentre in inverno tende a scendere progressivamente di quota con l'aumentare dello spessore della neve. Nei siti più favorevoli riesce a svernare anche oltre i 2000 m s.l.m. sfruttando le zone dove la neve viene erosa dal vento o dalle valanghe, tuttavia in caso di grandi nevicate accusa maggiori difficoltà rispetto agli altri selvatici. Pascola tranquillamente anche a temperature inferiori ai -20 °C.

Nel 2010 in Europa si contavano 15 milioni di capi adulti non italicus, di cui in Italia almeno 460 000, in aumento e in espansione. Per la sottospecie italicus dell'Appennino centro-meridionale si stimano meno di 10 000 esemplari.

In passato il capriolo veniva considerato un animale solitario, sebbene oggi si sappia che ha un comportamento sociale complesso e articolato. Infatti, mentre i maschi conducono per gran parte dell'anno un'esistenza solitaria (anche perché già alla fine dell'inverno tra di loro iniziano le dispute territoriali), le femmine spesso vivono riunite in branchi, composti da 3-7 individui, diretti da una femmina dominante. In tali branchi le gerarchie e i rapporti sociali sono ben definiti e strutturati.

Il periodo degli amori va da metà luglio a fine agosto; il corteggiamento è costituito da una serie di inseguimenti della femmina da parte del maschio.

La gestazione dura circa nove mesi e mezzo; l'ovulo, una volta fecondato, si impianta nell'utero materno e rimane quiescente fino a dicembre, quando riprende a svilupparsi. Questa caratteristica è detta ovoimplantazione differita.

Nel periodo che va dalla tarda primavera all'inizio dell'estate le femmine partoriscono, normalmente 1 o 2 piccoli, raramente tre, dal caratteristico mantello bruno fittamente maculato. Molto spesso le femmine lasciano il cucciolo nascosto nell'erba alta, mentre vagano nei paraggi in cerca di cibo.

Con l'arrivo dell'autunno anche i maschi si uniscono ai branchi di femmine e spesso occupano un posto in fondo alla gerarchia.

I giovani raggiungono la maturità sessuale all'età di circa 14 mesi.

Può raggiungere un'età di 18 anni.

Il capriolo è un animale timido e schivo; è preda di lupi, orsi e i suoi piccoli di linci, volpi, gatti selvatici, aquile, gufi reali, martore, sciacalli e cinghiali.

Il capriolo è spesso raffigurato nelle sculture, nei mosaici e nei dipinti insieme a Diana, dea della caccia.

Nel poema mitologico gallese Cad Goddeu contenuto nel Libro di Taliesin, un manoscritto gallese del XIV secolo, conosciuto anche come Peniarth MS2 e conservato nella Biblioteca Nazionale del Galles, un raro capriolo bianco viene sottratto durante una caccia ad Arawn, divinità celtica dell'Annwn. In questo mito il capriolo è il simbolo del viaggio dell'anima verso la morte.

Nella fiaba dei fratelli Grimm Fratellino e Sorellina uno dei protagonisti viene trasformato in un capriolo.

Ne La corza blanca dello scrittore spagnolo Gustavo Adolfo Bécquer, contenuta nella raccolta Leggende, egli narra di Costanza, una splendida fanciulla figlia di un nobile cavaliere medioevale. Dalla carnagione chiarissima, di notte ella si trasforma in un capriolo femmina bianco. Una notte, però, viene uccisa nella foresta da un giovane, di lei innamorato, ignaro della metamorfosi della ragazza.

Il capriolo è il protagonista del romanzo Bambi, la vita di un capriolo di Felix Salten a cui è ispirato il film Bambi della Walt Disney, che pur ha mutato l'animale in un cervo dalla coda bianca, per compatibilità con il pubblico americano.

Il cervo nobile (Cervus elaphus Linnaeus, 1758), noto anche come cervo reale, cervo rosso o cervo europeo, è un mammifero artiodattilo appartenente alla famiglia dei Cervidi.

I maschi adulti possono essere lunghi sino a 2,55 m e alti, al garrese, sino a 1,50 m, con un peso che va da 200 a più di 250 kg nei casi eccezionali. La femmina è notevolmente più piccola, raggiungendo solo eccezionalmente i 2 m di lunghezza e può raggiungere i 150 kg di peso. A queste misure va aggiunta la coda, che in ogni caso non supera i 20 cm di lunghezza. Generalmente, gli esemplari delle popolazioni dell'Europa orientale raggiungono dimensioni maggiori (ad esempio la sottospecie nominale raggiunge i cinque quintali di peso), mentre quelli dell'area mediterranea hanno dimensioni inferiori (ad esempio il cervo sardo non supera quasi mai il quintale di peso): tuttavia, se alimentati abbondantemente i cervi sono in grado di crescere ben al di sopra delle misure medie raggiungibili dalla popolazione in esame, mentre le popolazioni di qualsiasi sottospecie introdotte in altri Paesi possono rimanere di dimensioni molto contenute (anche mezzo quintale di peso)

Il cervo nobile deve il suo nome al portamento "altezzoso": con il collo eretto e la camminata elegante, si muove leggero ed elegante nei boschi più fitti, nelle praterie a diverse altitudini; è maestoso, veemente e veloce nel trotto e nel galoppo, tanto che in piena corsa può raggiungere e superare i 60 km/h, agile e abile nel salto che, talvolta, può raggiungere in altezza anche i 2 m e più del doppio in lunghezza. Una certa importanza assumono, soprattutto in funzione della caccia, le impronte che gli zoccoli del cervo lasciano sul terreno. Sia i maschi che le femmine vivono in gruppi monosessuali, con queste ultime che portano con sé anche i cuccioli non ancora indipendenti. Nell'ambito dei gruppi, solitamente vi sono sempre un paio di esemplari che fanno da sentinelle mentre il resto del branco si nutre.
Durante l'estate, i cervi tendono a migrare ad altitudini maggiori, raggiungendo le praterie in quota, dove il cibo è presente in maggiori quantità.

Il cervo è sempre stato un'importante fonte di cibo per l'uomo: già nelle pitture rupestri risalenti al Paleolitico si possono infatti trovare abbondanti raffigurazioni di questi animali, solitamente in veste di preda o come entità spirituali.

In Italia esistono diversi allevamenti soprattutto in Toscana come in altre regioni d'Italia ad esempio il Trentino, l'Emilia-Romagna e le Marche dove vicino a Osimo nel parco di Santa Paolina convive un piccolo gruppo con daini e mufloni

In Italia, viene cacciato tramite la modalità della caccia di selezione, in base alla Legge 157 dell'11 febbraio 1992. Il numero di esemplari cacciabili viene stabilito da ogni comprensorio alpino di caccia tramite la stesura di un piano di prelievo, costituito secondo le leggi regionali e le disposizioni provinciali in vigore e sulla base dei censimenti locali

I cervi non hanno, oltre all'uomo e al lupo laddove presente, dei veri nemici, in quanto nessun predatore è in grado di raggiungerli durante la fuga viste le loro straordinarie doti velociste. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ciò non aiuta a mantenere in buone condizioni le popolazioni di cervi, che sono ancora numerose in taluni boschi, soprattutto nelle zone protette. I predatori eliminano infatti tutti gli animali più deboli e malati, contribuendo quindi al miglioramento continuo della specie, poiché solo gli individui più dotati hanno la possibilità di riprodursi.

In Italia, la popolazione peninsulare del cervo, diffusa originariamente su tutto il territorio, a partire dal XVII secolo cominciò a declinare a causa della pressione venatoria e dell'espansione degli insediamenti umani a danno degli ecosistemi boschivi, fino a quando non ne rimase che una misera popolazione relitta nel sopracitato Gran Bosco della Mesola, oltre a segnalazioni sporadiche di gruppetti provenienti dalla Svizzera in provincia di Sondrio: in seguito tali migrazioni da oltreconfine divennero sempre più numerose e consistenti, al punto che la specie si è ristabilita con successo in tutto l'arco alpino centro-orientale ed è soggetta anche a prelievo venatorio autorizzato, mentre per quanto riguarda le altre popolazioni si tratta di individui introdotti a partire da popolazioni francesi e tedesche durante gli anni sessanta. La popolazione nazionale italiana ammontava nel 2010 a quasi 68.000 capi, sulle Alpi e nell'Appennino da nord fino al Parco nazionale d'Abruzzo. La crescita della popolazione è buona (+54% dal 2000 al 2010: ciò ha spinto le autorità a istituire campagne di abbattimento selettivo per evitare danni al patrimonio boschivo) e si prospettano future campagne di reintroduzione anche in altre aree appenniniche idonee a ospitare popolazioni stabili di questi animali.

Per quanto riguarda la popolazione sardo-corsa, invece, essa sparì dalla parte settentrionale della Sardegna nei primi anni del secondo dopoguerra: a partire dagli anni ottanta, le varie campagne di sensibilizzazione della popolazione hanno permesso di aumentare il numero di esemplari ed espandere l'areale della specie, che conta nella sola Sardegna (marzo 2018) oltre 10.600 capi, anch'essa in sensibile aumento numerico e in espansione geografica.

La legislazione italiana in materia di caccia (Legge 157 dell'11 febbraio 1992), definisce il Cervo sardo specie particolarmente protetta e punisce molto severamente a livello penale l'abbattimento, la cattura e la detenzione della specie. Essa prevede l'arresto da 3 mesi a un anno e un'ammenda da 1.032 euro a 6.195 euro, oltre che la revoca della licenza di caccia e il divieto del suo rilascio per 10 anni, divieto che diventa permanente in caso di recidiva
Il cinghiale (Sus scrofa Linnaeus, 1758)[2] è un mammifero artiodattilo della famiglia dei suidi.

Originario dell'Eurasia e del Nordafrica, nel corso dei millenni il cinghiale è stato a più riprese decimato e reintrodotto in ampie porzioni del proprio areale ed anche in nuovi ambienti, dove si è peraltro radicato talmente bene, grazie alle sue straordinarie doti di resistenza e adattabilità, da essere considerato una delle specie di mammiferi a più ampia diffusione; ed è arduo tracciarne un profilo tassonomico preciso, in quanto le varie popolazioni, originariamente pure, hanno subito nel tempo l'apporto di esemplari alloctoni o di maiali rinselvatichiti.

Da sempre considerato al contempo una preda ambita per la sua carne ed un fiero avversario per la sua tenacia in combattimento, solo nel corso del XX secolo ha cessato di essere una fonte di cibo di primaria importanza per l'uomo, soppiantato in questo dal suo discendente domestico, il maiale. Per lo stretto legame con l'uomo, il cinghiale appare frequentemente, e spesso con ruoli da protagonista, nella mitologia di molti popoli.

Gli esemplari adulti misurano fino a 180 cm di lunghezza, per un'altezza al garrese che può sfiorare il metro e un peso massimo di un quintale circa. Sussistono tuttavia grandi variazioni di dimensioni e peso a seconda delle sottospecie, con tendenza all'aumento dei sopracitati parametri in direttrice Sud-Ovest/Nord-Est: gli esemplari spagnoli di cinghiale, infatti, raramente superano gli 80 kg di peso, mentre in Russia si ha notizia di esemplari di peso superiore ai 250 kg; i maschi hanno dimensioni e peso ben maggiori rispetto alle femmine.

Nelle Alpi italiane il peso degli adulti oscilla tra i 100 e i 200 kg; nel Centro-sud e in Sardegna il peso medio è sugli 80-90 kg.

Il cinghiale ha costituzione massiccia, con corpo squadrato e zampe piuttosto corte e sottili. Ciascun piede è dotato di quattro zoccoli, dei quali i due anteriori, più grossi e robusti, poggiano direttamente sul terreno, mentre i due laterali sono più corti e poggiano sul terreno solo quando l'animale cammina su terreni soffici o fangosi, favorendo una migliore distribuzione del peso e impedendogli di sprofondare. Nonostante le piccole zampe, il cinghiale si muove piuttosto velocemente, solitamente al trotto, ed è in grado di galoppare molto velocemente anche nel fitto del bosco, per esempio durante una carica o una fuga, seguendo quasi sempre traiettorie rettilinee.

Si tratta di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: durante il giorno, i cinghiali riposano distesi in buche nel terreno che essi stessi scavano con il muso e gli zoccoli fra i cespugli, per poi ingrandirle con l'usura. Durante l'inverno, tali buche vengono spesso imbottite con frasche e foglie secche. Numerosi punti di riposo si trovano anche lungo i tragitti percorsi dagli animali durante la notte, che collegano le zone di foraggiamento con la tana principale e gli abbeveratoi. Alcuni individui sono stati osservati strappare l'erba alta e le canne per poi porle fra i rami bassi e i cespugli, in modo tale da crearsi dei ripari: in questo senso, i cinghiali sarebbero fra i pochissimi ungulati (assieme ad altri suidi) a costruirsi una tana.

I cinghiali sono grossi e forti, e non esitano ad attaccare se disturbati: per questo motivo, è piuttosto raro che un predatore scelga di cacciare questi animali, qualora disponga di altre specie meno impegnative. Il principale predatore dei cinghiali è l'uomo; nelle regioni in cui le due specie si trovano a convivere, tuttavia, anche le tigri cacciano i cinghiali, piombando dall'alto e finendoli azzannando la gola, per evitare che l'animale reagisca e controattacchi.

Si tratta di animali dalla dieta onnivora e molto varia, come dimostra la dentizione mista e lo stomaco scarsamente specializzato, con solo due compartimenti, a differenza dei tre dei pecari e dei quattro dei ruminanti. Pur nutrendosi principalmente di materiale vegetale, come ghiande (nei periodi in cui queste sono particolarmente abbondanti il cinghiale non mangia praticamente altro), frutti, bacche, tuberi, radici e funghi, il cinghiale non disdegna di integrare di tanto in tanto la propria dieta con materiale di origine animale, come insetti e altri invertebrati, uova e talvolta anche carne e pesce, provenienti questi principalmente da carcasse dissotterrate o trovate nei pressi dell'acqua.

Ogni tanto i cinghiali cacciano attivamente, scegliendo piccoli animali come rane,lucertole e serpenti, ma anche prede di una certa dimensione, come cervi ed agnelli. Il loro finissimo olfatto consente di fiutare il cibo anche se è sottoterra.

A seconda del clima e della disponibilità di cibo, la femmina può andare in estro da una a tre volte l'anno, con estro di tre giorni su cicli di tre settimane: in Italia le nascite si concentrano in primavera e alla fine dell'estate. Le femmine tendono a sincronizzare il loro ciclo estrale, in modo tale da allevare cuccioli di età simile, massimizzando le probabilità di sopravvivenza della prole.
Durante il periodo degli amori, i maschi abbandonano la vita solitaria per aggregarsi ai gruppi di femmine, spesso percorrendo anche grandi distanze sulla scia delle piste odorose e non nutrendosi né riposando per raggiungerne uno al più presto: una volta raggiunto il gruppo, per prima cosa il maschio desidera allontanare i maschi giovani che dovessero ancora trovarsi assieme alla femmina.

I cinghiali europei sono tipici abitatori dei boschi ben maturi e in particolare dei querceti, mentre le sottospecie africane e asiatiche sembrano preferire le aree aperte e paludose. In generale il cinghiale si dimostra però assai adattabile in termini di habitat e colonizza praticamente ogni tipo di ambiente a disposizione, incluso quello urbano dove può trovare facilmente cibo nei contenitori di rifiuti. Nei territori occupati dai cinghiali deve tuttavia essere sempre presente una fonte d'acqua, dalla quale l'animale non si allontana mai molto.

Pertanto, il cinghiale evita le aree desertiche, rocciose e quelle a forte precipitazione nevosa, dove per l'animale risulta disagevole grufolare. I cinghiali, tuttavia, tollerano molto bene il freddo (resistono a temperature di decine di gradi al di sotto dello zero), mentre sono meno adattabili a climi eccessivamente caldi, dove danno segni di sofferenza: l'umidità dell'ambiente li interessa relativamente poco, grazie al pelo altamente isolante.


La faina (Martes foina Erxleben, 1777) è un mammifero onnivoro della famiglia dei mustelidi.

Con una varietà di sottospecie (Martes foina bosniaca, Martes foina bunites, Martes foina foina, Martes foina kozlovi, Martes foina intermedia, Martes foina mediterranea, Martes foina milleri, Martes foina nehringi, Martes foina rosanowi, Martes foina syriaca, Martes foina toufoeus), la specie è diffusa in gran parte d'Europa (comprese Creta e numerose isole dello Ionio e dell'Egeo), fatta eccezione per Scandinavia, Irlanda, Gran Bretagna e isole Baleari, dove peraltro una sottospecie distinta pareva vivere fino agli anni sessanta: il suo areale comprende anche l'Asia Minore e centrale, fino alla Manciuria. Una colonia riproduttiva è stata inoltre impiantata nel Wisconsin.

In Italia la sottospecie nominale è presente in tutta l'area peninsulare. Frequenta una grande varietà di ambienti, dalla pianura fino a 2000 m d'altezza: predilige le aree forestali o boschive ed è comune anche in aree antropizzate, dove si adatta alle aree periferiche e rurali degli insediamenti umani, mentre evita con cura i grandi spiazzi aperti.

Misura 45–50 cm, cui vanno sommati 25 cm di coda, per un peso medio di un paio di chilogrammi. Lo studio dei resti fossili appartenenti a questa specie ha messo in evidenza una graduale ma costante diminuzione della taglia nel corso della sua evoluzione[4].Il pelo è corto e folto: sul dorso esso si presenta di colore marroncino, con tendenza a schiarirsi sul muso, fronte e guance: le orecchie sono larghe e tondeggianti, orlate di bianco, mentre le zampe presentano delle "calze" di colore marrone scuro. Sulla gola e sul collo è presente una caratteristica macchia bianca o, più raramente, giallognola che si spinge fino al ventre e prosegue fino a metà della parte interna delle zampe anteriori.
Si differenzia dalla martora comune per la macchia golare bianca e allungata verso il ventre (anziché giallognola e meno estesa), per le dimensioni un poco minori, le zampe e il muso più corti, le orecchie e gli occhi di dimensioni minori e in generale l'aspetto più slanciato.

La faina è un animale dalle abitudini squisitamente notturne: utilizza come rifugi diurni cavità o anfratti riparati in antichi ruderi, nei fienili, nelle stalle, nelle pietraie, tra le cataste di legna o nelle cavità naturali delle rocce, dalle quali esce al tramonto o a notte fatta.

Si tratta di animali principalmente solitari, che delimitano un proprio territorio di estensione compresa fra i 15 e i 210 ettari: le dimensioni di quest'ultimo variano a seconda del sesso (territori dei maschi più estesi rispetto a quelli delle femmine) e della stagione (è stata riscontrata una diminuzione invernale dell'estensione del territorio)

Si tratta di una specie tendenzialmente onnivora, che si nutre di miele (risulta immune alle punture di ape e vespa), bacche, uova (delle quali incide il guscio coi canini per poi succhiarne fuori il contenuto), e piccoli animali: la carne, tuttavia, è la componente preponderante della sua dieta.

Cerca il cibo principalmente al suolo, pur dimostrandosi una provetta arrampicatrice. La faina è pertanto in grado di nutrirsi di bacche, frutti, uova e nidiacei d'uccello. Per agguantare le prede di maggiori dimensioni, come fagiani e ratti, la faina dimostra una grande pazienza, appostandosi per ore nei luoghi in cui questi animali sogliono passare. Al sopraggiungere della preda, la faina le balza fulmineamente addosso, atterrandola e finendola con un morso alla gola.

Spesso l'animale procura danni alle attività umane: durante la ricerca di nidi, nidiacei e pipistrelli, tende a danneggiare i tetti delle case spostando le tegole, inoltre ha la tendenza a mettere fuori uso le automobili masticandone i tubi in gomma. Quando la faina riesce ad intrufolarsi in un pollaio o in una conigliera, poi, spesso uccide un numero di animali di gran lunga maggiore del suo fabbisogno immediato di cibo: questo comportamento, riscontrato anche in altri Mustelidi (come l'ermellino) e noto come predazione in eccesso, ha fatto nascere la credenza popolare (peraltro errata) secondo la quale questo animale si nutrirebbe principalmente, o addirittura esclusivamente, del sangue delle proprie prede

La stagione riproduttiva cade durante l'estate: durante questo periodo gli animali perdono la loro spiccata territorialità e possono essere visti anche durante il giorno, mentre durante la notte echeggia il loro lamentoso richiamo di accoppiamento. I maschi durante il periodo riproduttivo tendono ad aumentare l'estensione del proprio territorio e ad accoppiarsi con tutte le femmine il cui territorio si sovrapponga parzialmente col proprio.

L'accoppiamento vero e proprio, che può durare oltre un'ora, avviene dopo una serie di schermaglie durante le quali la femmina risponde aggressivamente agli approcci del maschio, che emette richiami sommessi e infine la monta mordendola ai lati del collo, dove sono presenti depositi di grasso sottocutaneo. Dopo la copula, il maschio è solito pulirsi accuratamente.

La gestazione dura circa otto mesi, al termine dei quali vengono dati alla luce da uno a quattro cuccioli: tale lasso di tempo è dovuto al fatto che l'impianto dell'ovulo fecondato avviene nella primavera dell'anno successivo all'accoppiamento e l'embrione comincia a svilupparsi a partire da febbraio. I piccoli vengono svezzati attorno ai due mesi di vita: l'indipendenza completa tuttavia non viene raggiunta prima dell'anno, mentre la maturità sessuale viene raggiunta fra i 15 mesi e i due anni e mezzo.

L'aspettativa di vita in natura di questi animali è di 5-10 anni, mentre in cattività possono tranquillamente sfiorare i venti anni di vita.


Il ghiro (Glis glis Linnaeus, 1766) è un roditore appartenente alla famiglia Gliridae; è l'unica specie del genere Glis.

Lungo circa 30 centimetri di cui 13 (circa) di coda, pesa in media 100 grammi. Ha una pelliccia di colore grigio castano sul dorso, mentre il ventre è bianco; il muso è caratterizzato da due grandi occhi e da folte e lunghe vibrisse (lunghi peli a lato del muso con funzione tattile), le orecchie, di forma rotondeggiante, sono piuttosto piccole e escono di poco dalla pelliccia. Può essere confuso con uno scoiattolo, da cui può essere distinto osservando la coda che mantiene sempre lunga e distesa.

Il ghiro ha un areale che comprende Europa e Asia. In Europa è presente dall’Italia e dalla Spagna fino all'Ucraina. In Italia è molto comune. È segnalato sulle Alpi fino ai 1500 metri di quota, tuttavia si può trovare anche ad altitudini inferiori, anche al livello del mare.

In Sardegna è presente con una sottospecie locale (Glis glis melonii) che si credeva estinta. È inoltre presente in molte isole mediterranee tra cui l'isola d'Elba, l'isola di Salina e sull'Etna in Sicilia.

Predilige gli ambienti boschivi, a quote tra i 600 ed i 1500 m. Solitamente frequenta parchi, giardini e boschi, in particolare quelli ricchi di sottobosco e caratterizzati dalla presenza di vecchi alberi dove può reperire facilmente numerose cavità, all'occorrenza adibite a rifugio o nido. Soprattutto durante i mesi invernali, può servirsi delle case rurali come momentaneo riparo.

Il ghiro è generalmente notturno: di solito esce dal proprio nascondiglio poco dopo il tramonto per poi ritornarvi prima dell'alba. Durante il giorno sta nascosto in cavità di alberi, in anfratti oppure in nidi, dalla forma rotondeggiante, che egli stesso costruisce con foglie e muschio.
In autunno l'animale aumenta notevolmente di peso, accumulando così una notevole quantità di grasso e vari minerali che gli saranno essenziali per sopravvivere durante il lungo letargo invernale (resta in letargo per 6 mesi). Per il letargo possono essere contemporaneamente usati da più individui gli stessi ripari.

La dieta del ghiro, basata essenzialmente sui vegetali, varia durante l'arco dell'anno ed è costituita principalmente da castagne, ghiande, nocciole, bacche, frutti di bosco; in autunno vengono consumati anche i funghi. Una minima parte dell'alimentazione del ghiro può comprendere anche animali, in particolare alcuni invertebrati (insetti e molluschi).

Il periodo riproduttivo si situa in primavera, al risveglio dal letargo. Le femmine partoriscono una sola volta all'anno, da 2 a 8 piccoli, dopo una gestazione di circa un mese. Può accadere che più femmine utilizzino contemporaneamente una cavità di un albero o lo stesso riparo per partorire ed allevare la prole; questo fatto accade generalmente quando in una zona si verifica una riduzione di rifugi naturali. In caso di pericolo o di eccessivo disturbo la femmina abbandona la tana e trasporta i propri piccoli in un luogo più caldo.

La lepre comune o lepre europea (Lepus europaeus Pallas, 1778) è un mammifero lagomorfo appartenente alla famiglia dei Leporidi e originario dell'Europa e dell'Asia.

Il corpo della lepre ha una lunghezza che varia tra i 40 e 70 cm (oltre a circa 8 cm di coda), e un peso che si attesta tra 1,5 e 5 kg: tali misure ne fanno il leporide vivente di maggiori dimensioni.

È un animale dalla forma piuttosto slanciata, con arti posteriori più lunghi di quelli anteriori, particolarità che, insieme al potente retrotreno, gli conferisce la velocità e l'abilità di un grande corridore e saltatore. Il muso è caratterizzato da due grandi occhi gialli e lunghe vibrisse bianche. Gli occhi sono posti ai lati del capo e questa posizione consente all'animale di avere un campo visivo molto ampio, una visione di quasi 360° gradi anche se la sua vista è modesta. Il senso dell'udito è invece particolarmente sviluppato: la mobilità degli ampi padiglioni auricolari gli permette di percepire e localizzare rumori anche minimi.

Il pelo ha una colorazione fulva che va dal giallo-bruno al grigio-bruno sul dorso, mentre il ventre è sempre bianco-grigiastro. Le orecchie gigantesche (sono lunghe circa 15 cm) hanno la punta nera, mentre la coda a fiocco è bianca con un pennacchio nero all'estremità. Sulla testa sono assenti le caratteristiche brizzolature nere che abbondano invece sul dorso, mentre attorno agli occhi è presente un cerchio bruno. D'inverno la colorazione del pelo tende ad assumere tonalità più vicine al grigio. Come tutti i lagomorfi i piedi non hanno cuscinetti.

I tratti anatomici delle lepri sono molto simili a quelli dei conigli: entrambe le specie riflettono il loro bisogno di avvertire con estremo anticipo il pericolo ed essere in grado di sfuggire ai possibili predatori. Conigli e lepri hanno una coda piccola e sferica e anche peli sulle piante dei piedi che permettono agli stessi di migliorare la propria presa durante la corsa. Tutte e due le specie hanno delle grandi narici con un'apertura di tipo longitudinale che può chiudersi completamente. In alcune specie le femmine sono più grandi dei maschi. I lagomorfi (ossia le lepri, i conigli e i pica) hanno incisivi molto sviluppati e in continua crescita e dietro questi ultimi si trova una seconda fila di incisivi più piccoli dei primi. Nei lagomorfi la pulizia del mantello è un aspetto importantissimo nella loro quotidianità ed è un gesto non reciproco; infatti la grande flessibilità del loro collo consente loro con una rotazione di circa 180° di raggiungere la pelliccia sul dorso e pulirla in totale autonomia.

La lepre è un animale dalle abitudini crepuscolari e notturne; può però essere osservata anche di giorno, sia pure piuttosto di rado e nei luoghi poco disturbati o in giorni particolarmente nuvolosi. A differenza dei conigli, la lepre non scava tane in profondità, ma si rifugia in anfratti naturali o in buche superficiali del terreno, profonde al massimo una ventina di centimetri. In queste buche si accoccola mimetizzandosi perfettamente col terreno circostante, grazie al mantello altamente mimetico.

È un animale molto timido e cauto dai sensi assai sviluppati. Quando si accorge di essere in pericolo, non scappa immediatamente (rischiando di attrarre l'attenzione), bensì tende a congelare i propri movimenti e a rimanere perfettamente immobile nell'intento di mimetizzarsi con l'ambiente circostante. Se necessario, esce allo scoperto con un balzo (fino a 1,5 m in altezza e 2,5 m in lunghezza) e inizia una fuga che spesso avviene in direzione zigzagante per confondere le idee all'assalitore e disperdere le tracce. Durante la corsa può raggiungere i 60 km orari.

Ha una dieta esclusivamente erbivora. In estate comprende piante erbacee, frutti, e funghi; in inverno erbe secche e cortecce di alberi e arbusti. Come tutti i lagomorfi, la lepre comune ha una doppia digestione del cibo, atta a estrarre il maggior quantitativo possibile di energia da una dieta erbivora. Dopo aver ingerito il cibo lo espelle sotto forma di feci molli, di colore verdastro e consistenza gelatinosa, che vengono nuovamente ingerite e ridigerite, per poi venire espulse come feci dure, di colore scuro.

La stagione riproduttiva cade solitamente in primavera: durante questo periodo i maschi si raggruppano attorno alle femmine in estro, ingaggiando combattimenti per arrogarsi il diritto ad accoppiarsi per primi con esse. Tali combattimenti consistono in violenti colpi sferrati sia con le zampe anteriori che con quelle posteriori, oltre che in morsi e balzi spettacolari: durante questo periodo i maschi sono talmente presi dalla foga amorosa che divengono assai meno cauti del solito, costituendo perciò una facile preda per gli animali carnivori. Tale comportamento è all'origine del detto anglosassone "mad as a March hare" ("pazzo come una lepre a marzo"); lo stesso personaggio della Lepre Marzolina, presente nel libro Alice nel Paese delle Meraviglie, è ispirato alle lepri in fregola.

L'accoppiamento è assai promiscuo: ciascun maschio, infatti, tende ad accoppiarsi col maggior numero di femmine possibile, servendosi anche della forza; d'altro canto, ciascuna femmina viene montata da numerosi maschi.

Durante l'arco dell'anno una femmina può portare a termine fino a tre gravidanze, a seconda della disponibilità di cibo; dopo una gestazione di 6 settimane nascono generalmente da 1 a 6 piccoli. Può essere interessante ricordare che nel caso della Lepre, a differenza del coniglio, i piccoli appena nati hanno già gli occhi aperti e il corpo ricoperto da peli, e già a partire da qualche ora dopo la nascita sono in grado di muoversi agilmente. Tuttavia, essi passano la maggior parte del tempo nascosti singolarmente in luoghi diversi siti nei pressi del rifugio materno, con la femmina che torna da loro solo per la poppata: dopo lo svezzamento, che avviene attorno al mese di vita, i cuccioli si allontanano definitivamente dalla madre, tuttavia non possono dirsi sessualmente maturi sino all'anno d'età. Un'altra particolarità consiste nel fatto che la femmina può essere fecondata nuovamente prima ancora di avere partorito (superfetazione).

Grazie alla sua velocità, la lepre deve temere solo pochi predatori; tra di essi, l'aquila reale, la lince, il lupo, la martora, l'astore e, soprattutto, la volpe.

L'areale naturale occupato dalla specie si estende su quasi tutta l'Europa fino al Medio Oriente e all'Asia centrale. Le lepri sono state tuttavia introdotte con successo dall'uomo in numerose parti del mondo, dove si sono naturalizzate: attualmente se ne possono trovare in America settentrionale, centrale e meridionale, oltre che in Australia e Nuova Zelanda.
Pur adattandosi a una vasta gamma di habitat, questi animali prediligono le aree prative circondate da zone cespugliose dove nascondersi.



Il lupo grigio (Canis lupus Linnaeus, 1758), noto anche come lupo comune o semplicemente lupo, è un canide lupino presente nelle zone remote del Nord America e dell'Eurasia. È il più grande della sua famiglia, con un peso medio di 43-45 kg per i maschi e 36-38,5 kg per le femmine. Oltre che per le dimensioni, il lupo grigio si distingue dagli altri membri del genere Canis per il muso e le orecchie meno appuntite. Il suo mantello invernale è lungo e folto, prevalentemente grigio variegato, ma alcuni esemplari possono presentare colorazioni bianche, rosse, brune o nere.

È la specie del genere Canis più abile nella caccia cooperativa di grossa selvaggina, come dimostrato dalla sua natura gregaria e dal suo avanzato linguaggio del corpo. Ciononostante, è ancora geneticamente vicino agli altri Canis, inclusi il coyote (Canis latrans) e lo sciacallo dorato (Canis aureus), al punto da poter produrre ibridi. La sua convivenza con l'uomo ha portato alla prima domesticazione animale, dando origine al cane domestico, il suo parente più stretto, con cui condivide un progenitore comune da cui si separò circa 14 900 anni fa.

È l'unico membro selvatico del genere Canis presente sia nel Vecchio che nel Nuovo Mondo. Il lupo apparve per la prima volta in Eurasia nel Pleistocene, giungendo in Nord America almeno tre volte durante l'epoca Rancholabreana. È un animale sociale, il cui gruppo è costituito da una famiglia nucleare. Tipicamente è un superpredatore, minacciato seriamente solo dagli esseri umani e da pochi altri superpredatori di taglia maggiore con cui condivide l'habitat, come le tigri. È un predatore generalista e opportunista: si nutre prevalentemente di ungulati di grossa taglia, ma anche di prede più piccole, bestiame, carogne e scarti alimentari.

Il lupo grigio è uno degli animali più studiati e conosciuti. Su di esso sono stati scritti più libri che su qualunque altro animale selvatico. Ha una lunga storia di interazione con l'uomo: è stato spesso detestato e perseguitato dalle comunità pastorali, mentre ha ricevuto maggiore rispetto nelle società agricole e di caccia-raccolta. Sebbene la paura dei lupi sia radicata in molte culture umane, la maggior parte degli attacchi all'uomo è stata attribuita ad esemplari affetti da rabbia. I lupi sani hanno attaccato e ucciso esseri umani, soprattutto bambini, ma solo sporadicamente, essendo per natura schivi e timidi.

Un tempo era uno dei mammiferi più diffusi nell'emisfero boreale, ma la persecuzione umana ha causato la sua estinzione in gran parte dell'Europa occidentale, del Messico e degli Stati Uniti. Oggi si trova principalmente in Canada, negli Stati Uniti (soprattutto in Alaska), in Europa settentrionale e in Asia settentrionale. In Italia (sugli Appennini e sulle Alpi Occidentali), in Francia, Svizzera e sui Pirenei è presente una sottospecie, il lupo appenninico (Canis lupus italicus), mentre sulle Alpi Orientali (in Italia, Slovenia e Austria) è presente la sottospecie tipica (Canis lupus lupus). In Sicilia era presente il lupo siciliano (Canis lupus cristaldii), estintosi nel XX secolo.

Il declino della popolazione dei lupi grigi si è arrestato negli anni Settanta, portando alla ricolonizzazione spontanea (come nell'Italia settentrionale) e alla reintroduzione artificiale (come negli Stati Uniti) in aree da cui era scomparso. Questo cambiamento è stato possibile grazie alla protezione legale e ai mutamenti nella gestione del territorio. Tuttavia, la competizione con l'uomo per il bestiame e la selvaggina, le preoccupazioni per la sicurezza umana e la frammentazione dell'habitat continuano a rappresentare minacce per la specie. Malgrado ciò, il lupo grigio è classificato come "a rischio minimo di estinzione" nella Lista rossa IUCN.
La marmotta alpina [Marmota marmota (Linnaeus, 1758)] è un roditore della famiglia degli Sciuridae, vive ad altitudini superiori ai 1.500 metri, al limite superiore della foresta, dove gli alberi si diradano e diminuiscono di grandezza. Normalmente le altitudini in cui vive la marmotta vanno dai 2000 metri ai 3000 s.l.m..

Le famiglie si nutrono d'erba, di radici, di granaglie e di foglie. A fine settembre si ritrovano nelle loro tane e dopo averne ostruito l'ingresso affrontano poi il lungo periodo invernale chiamato letargo. Il loro ritmo cardiaco rallenta notevolmente e il loro sonno sarà interrotto una dozzina di volte da brevi fasi di risveglio prima della fine del letargo.

È un animale dal corpo piccolo e dal peso che varia dai 3,5 kg in primavera ai 6,5 kg a fine estate, per una lunghezza di circa 60 cm che ne comprende 10 di coda. È un plantigrado dalle zampe robuste e con artigli. La testa è caratterizzata da piccole orecchie a semicerchio e da lunghe vibrisse (peli da 4 a 7 cm). Queste hanno funzione sensoriale e si sviluppano velocemente. Tra il muso e l'occhio vi sono particolari ghiandole facciali il cui secreto serve al riconoscimento individuale e alla marcatura del territorio. La dimensione degli occhi è sviluppata, mentre le sue orecchie sono abbastanza piccole.

Molto evidenti per il loro notevole sviluppo sono i denti incisivi. Sono privi di radice e pertanto a crescita continua: l'animale li consuma giornalmente durante la masticazione del cibo. Il colore della pelliccia è grigio-brunastro, con notevoli possibilità di variazioni individuali. I piccoli sotto l'anno di età sono facilmente riconoscibili, oltre che per le loro minori dimensioni, anche per il colore grigio uniforme del mantello. Le zampe sono piuttosto corte; le anteriori, in particolare, sono munite di forti e robuste unghie che servono all'animale per lo scavo delle tane. La coda, lunga circa 15 cm, è folta e costituisce, in relazione alla posizione che assume, un importante segnale nei rapporti sociali fra i vari componenti del gruppo. Le marmotte hanno la testa piccola ma allungata.

In Valle d'Aosta la fascia altitudinale maggiormente utilizzata dalla marmotta alpina si colloca fra i 1900 e i 2500 m di quota, ossia ai confini tra il piano subalpino superiore e quello alpino inferiore; nelle Alpi Liguri risulta invece maggiormente distribuita tra i 1700 e i 2400 m. La si può anche incontrare nelle pietraie, nelle radure e ai margini dei boschi. Vive in tane scavate nel terreno. Esse hanno diverse tipologie in relazione all'uso che devono svolgere.

Esistono tane di fuga, mentre le tane principali sono costituite da una o più aperture che conducono in gallerie profonde anche una decina di metri. All'interno vi sono numerose concamerazioni dove le marmotte passano la notte, partoriscono, trascorrono l'inverno. L'animale è diurno: esce dalla propria tana al mattino, per rientrarvi solo nelle ore più calde e al crepuscolo. Durante il giorno si dedica alla nutrizione, alla pulizia della pelliccia, a lunghe soste al sole e allo stare insieme agli altri, attività che svolge un'importante funzione nel rafforzare i rapporti sociali fra i vari componenti del gruppo.

La marmotta infatti non vive isolata ma in famiglie; ogni gruppo è generalmente costituito dal maschio e dalla femmina adulti oltre che dalle altre femmine. I giovani maschi vengono precocemente allontanati dalla famiglia dopo il primo anno di vita.

Questa specie trascorre la stagione invernale nello stato di letargo: tutti i componenti del gruppo si raccolgono nell'anfratto più ampio e profondo della tana, stretti gli uni agli altri per limitare la dispersione di calore. Durante questo periodo il metabolismo dell'animale subisce un notevole rallentamento: gli atti respiratori si abbassano a 2-3 al minuto, la temperatura da 38 gradi scende a soli 7-4 gradi e le pulsazioni cardiache scendono sotto i 40 al minuto. Prima del letargo, che dura generalmente da ottobre ad aprile, gli animali trasportano con la bocca l'erba secca per allestire un appropriato giaciglio per il lungo inverno.

In primavera, all'uscita del letargo, la marmotta costituisce una facile preda perché ben visibile, mentre corre alla ricerca del cibo, sulle praterie ancora innevate. Le ricerche più recenti hanno evidenziato che durante il letargo gli animali sono soggetti a periodici risvegli seguiti da breve attività. Questi temporanei risvegli hanno lo scopo di aumentare la temperatura corporea sia degli adulti sia dei piccoli, maggiormente esposti a un'eventuale morte per ipotermia.

Si tratta di un caso di cura parentale estesa anche agli altri adulti presenti. Se il numero di questi nella tana diminuisce o è ridotto alla singola unità, tale tecnica di termoregolazione sociale diventa insufficiente e la mortalità dei piccoli aumenta. Il fischio è il tipico segnale di allarme della specie e serve inoltre a mantenere un collegamento fra i componenti del gruppo.

In passato si riteneva erroneamente che fosse un vero e proprio fischio, ma in verità si tratta di un grido di origine laringea che viene emesso a bocca aperta. Inoltre esistono diversi tipi di segnale: ad esempio un fischio singolo indica una minaccia che proviene dall'alto, quale potrebbe essere un predatore alato (aquila) o un uomo che scende da un pendio; una serie di fischi segnalano un pericolo proveniente da un lato, come una volpe, un cane o un uomo che giunge lateralmente. L'intensità del fischio fornisce indicazioni sulla distanza del probabile predatore. I segnali sono udibili fino a un chilometro in linea d'aria.

La sua alimentazione è vegetariana e costituita essenzialmente da erbe, radici e semi che le consentono di accumulare, nella buona stagione, il grasso che verrà consumato durante il letargo invernale. Non essendo un ruminante deve selezionare, in funzione della digeribilità, il tipo di alimento: questa è la ragione per cui sono privilegiate le parti vegetali più tenere e in particolare i fiori. Il grasso della Marmotta, nella medicina popolare delle regioni alpine, veniva un tempo considerato come valido rimedio contro alcune malattie bronchiali, polmonari e reumatiche.

La marmotta non beve l'acqua che scorre nei ruscelli bensì trae i liquidi necessari al suo organismo unicamente dal consumo di erba e dalla rugiada mattutina.

Il periodo degli amori si colloca in primavera; dopo una gestazione di 40 giorni nascono generalmente da due a cinque piccoli. Essi vengono allattati dalla madre per 42 giorni e escono dalla tana, per la prima volta, solitamente agli inizi di luglio. La marmotta vive in nuclei familiari in cui il maschio tende ad accoppiarsi solo con la femmina adulta dominante.

Nelle Dolomiti altoatesine la marmotta era il totem del semi-leggendario popolo preistorico dei Fanes.
La martora o martora eurasiatica (Martes martes Linnaeus, 1758) è un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia Mustelidae.

Il corpo è slanciato, lungo 35–55 cm, con coda di 25–30 cm. Il peso vivo di un adulto in media è di 0,8-1,2 kg. Il pelo è folto, morbido e lucente, sul dorso giallognolo marrone o marrone scuro, sul muso, la fronte e le guance marrone chiaro, sui fianchi e sul ventre giallognolo con ombre marroni scure sulle zampe. La gola e il sottogola sono spesso color tuorlo d'uovo, talvolta giallo chiaro. La macchia golare, a differenza della faina, non si estende mai verso gli arti. Il muso è allungato e le orecchie rotondeggianti, gli arti sono robusti e provvisti di forti unghie.

La martora vive nelle aree forestali della regione Paleartica occidentale: estende il proprio areale su tutta l'Europa dall'Irlanda e dalla Spagna settentrionale all'Italia meridionale, fino ai Balcani settentrionali, e al limite della vegetazione arborea in Scandinavia e Finlandia settentrionale; è diffusa inoltre dall'Asia Minore e dall'Iran alla Russia settentrionale e alla Siberia occidentale. È assente in Grecia ad eccezione dell'isola di Corfù, ma è presente in alcune isole del Mar Mediterraneo: Minorca, Maiorca, Corsica, Sardegna, Sicilia ed Elba.

In Italia è diffusa in aree di collina e montagna con una distribuzione frammentata. Tuttavia la sua distribuzione è in aumento, anche in zone di pianura, come dimostra il ritrovamento di un maschio investito a soli due chilometri dalla città di Crema, avvenuto nell'agosto 2012. È stata avvistata anche a Porto Viro il 26 gennaio 2019 e a Castel di Decima, Roma, nell’ottobre del 2021.
L'origine della martora in Italia e in Sicilia viene fatta risalire al tardo Pleistocene, mentre è incerta l'origine nell'Elba e in Sardegna. Si ritiene che in queste due isole l'introduzione della martora sia stata effettuata dall'uomo in epoca preistorica, ma non si hanno sufficienti informazioni in proposito.
L'habitat tipico della martora è rappresentato dai boschi puri o misti di latifoglie e aghifoglie fino ai 2000 metri di altitudine. In Sardegna e Corsica, per lo scarso numero di specie carnivore che occupano la stessa nicchia ecologica, vive anche nella macchia mediterranea e talvolta si insinua in aree antropizzate. In generale preferisce però la vegetazione fitta, in grado di offrirle un'adeguata protezione e rifugge gli ambienti aperti; solo in periodi di ristrettezze alimentari si spinge fino alle fattorie per predare soprattutto i volatili domestici.

Animale solitario e di abitudini notturne, di giorno si rifugia tra la vegetazione, preferibilmente nella chioma degli alberi. Stabilisce di preferenza i propri rifugi su alberi che presentino cavità naturali o scavate da altri animali. Molto agile, è in grado di spostarsi rapidamente sulle chiome degli alberi compiendo anche lunghi salti.

La sua attività predatoria interessa i piccoli vertebrati, soprattutto uccelli, ma anche roditori e lagomorfi. Integra la dieta con invertebrati e frutta. La convinzione popolare che essa abitualmente, dopo aver assalito la preda, ne recida subito la carotide per berne il sangue, è errata.

Si riproduce una volta l'anno, con accoppiamenti nel cuore dell'estate. La gestazione si protrae fino a 259-285 giorni a causa di un temporaneo arresto dello sviluppo dell'ovulo fecondato. L'impianto nella mucosa uterina avviene solo dopo 220-240 giorni dall'accoppiamento, dopodiché lo sviluppo embrionale si svolge in maniera molto rapida (27-45 giorni). I piccoli, da tre a cinque, vengono al mondo nella primavera successiva, tra marzo e maggio e vengono curati solo dalla madre, rendendosi indipendenti al terzo mese.

La struttura sociale è basata sulla territorialità rigida sia dei maschi sia delle femmine. Animali solitari, i maschi delimitano il loro territorio difendendolo dalle intrusioni di individui della stessa specie e dello stesso sesso. Il territorio di un maschio in genere coincide con quello di una o più femmine. I giovani dello stesso sesso sono tollerati fino a poco prima del raggiungimento della maturità sessuale e non oltre i 18 mesi.

Lungo i bordi di sentieri o sulle pietre si possono osservare gli escrementi, lunghi 8–10 cm, di colore scuro e dal forte odore penetrante. Sono avvolti a spirale e, solo ad una estremità, terminano con una lunga punta.

A causa della rigida territorialità di questa specie, le principali minacce per la martora provengono dalla riduzione e dalla frammentazione degli ambienti forestali per disboscamenti, incendi e per l'eccessiva penetrazione antropica. Non si hanno informazioni sufficienti sulla popolazione italiana, ma si ritiene che ci sia stato un calo proprio a causa della minore estensione del suo habitat naturale. Negli ultimi anni sono numerosi gli avvistamenti nel Molise, dove spesso restano vittime delle auto negli attraversamenti carrabili. Nel 2021 è stato avvistato un esemplare nei monti Sibillini da una foto trappola, dove non si vedeva da molti anni.

Non è ancora ritenuta specie a rischio a livello nazionale ed europeo, ma in Sardegna è classificata come specie rara. Lo status di protezione è garantito dalla Legge n. 503 del 1981 Allegato III (che recepisce la Convenzione di Berna) e, in Sardegna, dalla Legge regionale n. 23 del 1998.
I chirotteri (Chiroptera Blumenbach, 1779) sono un ordine di mammiferi placentati comunemente noti come pipistrelli. Sono gli unici mammiferi capaci di un volo vero e sostenuto, e il secondo gruppo di mammiferi più numeroso dopo i roditori, comprendendo circa il 20% delle specie descritte.

All'ordine dei Chirotteri appartengono gli unici mammiferi in grado di volare e compiere manovre complesse in aria. La specie più piccola, il pipistrello calabrone, non pesa più di 2 grammi ed è ritenuto, insieme al mustiolo etrusco, il più piccolo mammifero al mondo, mentre le più grandi sono alcune specie del genere Pteropus e Acerodon, che raggiungono un peso di circa 1,6 kg e un'apertura alare fino a 1,8 metri.

I chirotteri hanno una diffusione pressoché planetaria, con esclusione soltanto delle regioni polari e circumpolari e di alcune isole oceaniche remote. Nelle zone tropicali hanno raggiunto la massima diversità, dove sono in assoluto l'ordine di mammiferi più numeroso.

In considerazione del loro esteso areale, anche gli habitat dove vivono sono innumerevoli, poiché si possono incontrare nelle foreste tropicali e temperate, nei deserti, praterie, savane e in ambienti urbani e suburbani. Generalmente vivono a quote non elevate, sebbene siano presenti forme adattate a climi montani.

La crescente consapevolezza del determinante peso sia biologico sia economico offerto da quest'ordine ha generato un importante movimento di conservazione a livello globale. Tuttavia rimane ancora il pregiudizio in alcune culture e soprattutto la minaccia della perdita dei propri habitat e la caccia come fonte di alimentazione.

Gli sforzi intrapresi a carattere locale includono la conservazione di particolari siti dove normalmente riposano grandi colonie, oppure il ripopolamento (particolarmente in ambiente urbano) attraverso l'installazione di cosiddette "bat-boxes", che permette ad alcune specie di predisporre tane e rifugi lontano da case, edifici e altri ambienti antropici.

Il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) ha dichiarato il 2011 e 2012 come Anni internazionali del pipistrello, durante i quali sono state promosse campagne di conservazione, ricerca ed educazione su questi animali. In Europa, nel 1994 è stato firmato un trattato sulla conservazione delle popolazioni di pipistrelli europei (EUROBATS) da 32 stati, tra cui quelli appartenenti alla Comunità europea. Molte specie di chirotteri sono attualmente inserite nelle categorie più a rischio della IUCN, e almeno tutte le specie di Pteropus nell'appendice II della CITES, a causa del commercio illegale dovuto al loro utilizzo alimentare.

La peculiarità di aggregarsi in colonie numerose ha frequentemente sviluppato gravi epidemie all'interno di popolazioni, con grave rischio di estinzione in diverse specie. Dal 2006, anno in cui fu osservata per la prima volta in una grotta degli Stati Uniti orientali, una gravissima malattia, ribattezzata "White nose syndrome", causata da un fungo, lo Pseudogymnoascus destructans, ha provocato 5,7 milioni di morti, con percentuali fino al 100% in alcune colonie. Al momento 3 specie endemiche sono interessate, ma molti biologi, che ritengono questo evento il più precipitoso declino in natura nell'ultimo secolo in Nord America, hanno previsto che anche altre forme siano a rischio imminente.

Molte specie di chirotteri sono lucifughe e soffrono sensibilmente dell'inquinamento luminoso, che può provocare l'abbandono dei siti di rifugio e alterazioni della percezione dei ritmi giorno-notte.

Sebbene la mortalità sia elevata nel primo anno di vita, questa diventa molto più bassa negli anni successivi, grazie soprattutto all'inaccessibilità dei loro rifugi. Il momento di maggiore vulnerabilità si verifica quando i grandi gruppi abbandonano le grotte nelle prime ore serali, oppure qualora occupino siti più esposti, come gli alberi o la vegetazione bassa. Sono numerosi gli animali che cacciano pipistrelli, e questi includono serpenti, rapaci notturni, piccoli carnivori come le genette, i gatti domestici e non ultimo l'uomo. Lo sparviero dei pipistrelli sembra sia l'unica specie di predatore veramente specializzato nel cacciare i chirotteri. Anche alcune specie stesse di pipistrelli sono in grado di cacciare altri pipistrelli. In alcune grotte del Venezuela sono stati osservati attacchi da parte della scolopendra gigante verso almeno tre piccole specie di Microchirotteri.

I pipistrelli nella catena alimentare hanno un determinante ruolo nell'equilibrare le popolazioni di insetti, tra i quali anche i più dannosi per l'uomo e per le sue attività. Tuttavia un ruolo molto importante, in particolare nelle zone tropicali, è quello dell'impollinazione di molte specie floreali, sia selvatiche sia di interesse economico o nella dispersione di semi. Di notevole valore è anche la produzione di guano, reperibile all'interno delle grotte utilizzate come siti di riposo per molte specie gregarie, il quale è considerato una delle forme più pregiate di fertilizzante.

Alcuni pipistrelli frugivori vengono utilizzati da alcune popolazioni come fonte alimentare. La loro carne è considerata una prelibatezza nelle Seychelles, in Indocina, in Indonesia, nelle Filippine e in diverse isole dell'Oceano Pacifico.

Recentemente i veri pipistrelli vampiri della sottofamiglia dei Desmodontini sono divenuti un importante oggetto di ricerche scientifiche nel campo medico, in virtù delle caratteristiche anticoagulanti di una proteina presente nella loro saliva, la desmoteplase, che potrebbe avere notevoli vantaggi nella cura e nella prevenzione di malattie come l'ischemia.


Il riccio comune, talvolta noto anche come riccio europeo (Erinaceus europaeus Linnaeus, 1758), è un mammifero appartenente alla famiglia Erinaceidae. Questo animale è spesso confuso con il porcospino, termine che si riferisce in realtà all'istrice. Il riccio presenta caratteristiche morfologiche arcaiche, come la formula dentaria e la conformazione del cervello, che lo collegano ai mammiferi esistenti sulla Terra al termine del Cretaceo, mostrando una differenziazione limitata nel corso di milioni di anni. Nel tempo, ha sviluppato il suo caratteristico rivestimento di aculei.

Il riccio comune misura fino a 25–27 cm di lunghezza e il suo peso supera raramente il chilogrammo, sebbene possa raddoppiare in vista dell'inverno. La coda di solito raggiunge una lunghezza di circa 2,5 cm.

Il riccio è un animale esclusivamente notturno. Le sue abitudini notturne non sono tanto una necessità legata alla difesa, grazie alla protezione offerta dalla cortina di aculei, quanto piuttosto un adattamento allo stile di vita delle sue prede, che sono molto più abbondanti durante la notte. Nonostante il suo aspetto goffo e il movimento generalmente lento, il riccio è in grado di correre velocemente e si dimostra un ottimo nuotatore.

Il riccio è un animale onnivoro grazie alla sua variegata dieta. L'alimentazione del riccio si basa principalmente su invertebrati di vario tipo, tra cui insetti, lumache, lombrichi, ragni, scorpioni, uova, rettili e anfibi. Non disdegna nemmeno di nutrirsi di piccoli mammiferi, in particolare dei topi, di cui è considerato un cacciatore spietato, poiché uccide gli adulti e dissotterra i nidi per cibarsi dei piccoli.

La gestazione del riccio comune può durare da 30 a 50 giorni, con un numero di piccoli che varia da 1 a 9. Il parto avviene generalmente tra maggio e ottobre; se la femmina si riproduce in anticipo, può partorire due volte nella stessa stagione. Il pene del maschio è piccolo e aderente al corpo, tranne durante il periodo dell'accoppiamento. La vagina della femmina si trova all'estremità posteriore dell'addome, e in entrambi i sessi sono presenti cinque coppie di capezzoli. Dopo il rituale di corteggiamento, durante il quale il maschio mordicchia gli aculei della femmina, quest'ultima abbassa gli aculei e la penetrazione avviene con il maschio sopra di lei.I piccoli nascono già con gli aculei ricoperti da una membrana protettiva, che serve a proteggere la madre durante il parto. Dopo circa 36 ore, questi primi aculei vengono sostituiti da un nuovo strato sviluppatosi internamente, seguito da un ulteriore terzo mantello che sostituirà definitivamente i primi due. Dopo un mese e mezzo, i piccoli iniziano a somigliare completamente agli adulti.

Nell'antica Roma, il riccio veniva allevato per la sua carne; inoltre, il pelo aculeato del dorso era utilizzato per cardare la lana e come componente dei frustini per spronare i cavalli e svezzare i vitelli. Col tempo, la fitta copertura di aculei ha portato a considerare il riccio simile ai capelli: le ceneri di questi animali, miscelate con resina e applicate sulla testa, erano ritenute erroneamente un rimedio contro la calvizie.

Attualmente, il riccio è una specie protetta dalle leggi italiane; pertanto, non è consentito né cacciarlo né tenerlo in cattività.


Lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris, Linnaeus, 1758) è un mammifero che appartiene alla famiglia degli Sciuridae, dell'ordine dei Roditori, della classe dei Mammiferi.

Viene chiamato "scoiattolo rosso" nonostante il colore del suo mantello, oltre che bruno rossastro, può essere anche marrone scuro, fino quasi al nero

Lo scoiattolo rosso è lungo circa 25 cm senza la coda; questa è lunga da 15 a 20 cm. Il peso va da 250 a 340 g. Una coda così lunga è utile nel balzare da un albero all'altro e nel correre lungo i rami, assicurando l'equilibrio. Ha inoltre una funzione termica, contribuendo a mantenere il calore del corpo nel sonno. Durante il corteggiamento la coda serve come segnale visivo e viene sollevata e agitata in modo del tutto particolare. La colorazione del mantello è molto variabile e va dal marrone rossiccio al marrone scuro; queste diverse tonalità sembrano essere determinate da vari fattori legati al clima, alla copertura vegetale, all'alimentazione, oltre che da quelli genetici. La parte inferiore del corpo è sempre bianca. Le zampe posteriori, più lunghe di quelle anteriori, permettono all'animale di muoversi con molta agilità sul terreno, mentre le forti unghie e i cuscinetti plantari gli consentono di arrampicarsi con sorprendente abilità sugli alberi.
Lo scoiattolo rosso è autoctono dell'Europa, compresa la Gran Bretagna, ma è diffuso in tutta l'Eurasia sino alla Corea e al Giappone. In Italia è in netto declino a causa dell'introduzione di una specie alloctona, lo scoiattolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis).

È presente in buona parte del territorio italiano; assente in zone antropizzate e non forestali, come nella bassa Pianura Padana, nel versante adriatico costiero (Gargano, Conero e Ancona esclusi), nella zona di Piombino, in alcune zone calabresi e nelle isole. In Valle d'Aosta lo si può trovare sino al limite superiore della vegetazione. In Piemonte la sua sopravvivenza è messa in grave pericolo da una popolazione di scoiattoli grigi, introdotta accidentalmente nel 1948, che si sta espandendo rapidamente con il rischio concreto che possa dilagare nell'Italia settentrionale e anche in quella centrale.

Lo scoiattolo nero meridionale (Sciurus meridionalis), facilmente osservabile nei boschi dai 600 ai 1500 metri, riconosciuto recentemente come specie autoctona di Basilicata e Calabria, ha una colorazione scura del manto. È probabile che appartenga a una popolazione rimasta isolata nel periodo delle glaciazioni da quelle dello scoiattolo rosso, presente più a nord, che si è pian piano differenziata fino a diventare una specie autonoma

Lo scoiattolo rosso è un roditore, onnivoro, che vive prevalentemente sugli alberi.

L'animale rimane attivo anche durante la stagione invernale; solo in caso di consistenti e prolungate nevicate si rifugia nel proprio nido per più giorni consecutivi.

L'accoppiamento può avvenire nel tardo inverno di febbraio-marzo e in estate tra giugno e luglio. La femmina può avere fino a 2 gravidanze l'anno. Ciascuna figliata di solito consiste in 3-4 piccoli, ma ne possono esser partoriti anche 6. La gestazione dura 38-39 giorni. I neonati sono ciechi, sordi, non autosufficienti e pesano tra 10 e 15 g. Se ne occupa soltanto la madre. Il corpo dei cuccioli si ricopre di peli al ventunesimo giorno di vita; acquisiscono la vista dopo tre o quattro settimane. Lo sviluppo dei denti si completa dopo 42 giorni. Il giovane scoiattolo può mangiare cibi solidi una quarantina di giorni dopo la nascita; a questo punto può lasciare il nido per procurarsi il cibo da solo, anche se la madre continuerà ad allattarlo fino allo svezzamento completo, intorno alle venti settimane di età.

Per l'accoppiamento i maschi individuano le femmine in calore dall'odore emesso. Anche se non c'è un corteggiamento vero e proprio, il maschio insegue la femmina anche per un'ora prima di riuscire ad accoppiarsi. Solitamente più maschi inseguono una femmina, finché il maschio dominante, in genere il più grosso, riesce a conquistarla. Maschi e femmine si accoppiano più volte e con diversi partner. Le femmine devono raggiungere una massa corporea minima per essere feconde e quelle più pesanti danno alla luce mediamente più piccoli. Se il cibo è scarso, la riproduzione viene ritardata. Le femmine raggiungono la maturità sessuale al secondo anno.

Lo scoiattolo rosso vive in media tre anni; alcuni raggiungono i sette anni, in cattività anche dieci. La sopravvivenza è legata alla disponibilità di semi di cui nutrirsi in autunno e inverno; dal 75 all'85% dei giovani perisce durante il primo inverno, mentre al secondo inverno la mortalità scende al 50% circa.

Lo scoiattolo non fa parte della mitologia né della favolistica greca o romana. È citato occasionalmente da alcuni autori per la caratteristica curiosa (secondo una credenza popolare) di farsi ombra con la coda nelle giornate assolate; da qui il nome greco σκίουρος (skíouros) (da cui il latino sciurus) che significa letteralmente "che si fa ombra".

Secondo la mitologia norrena, lo scoiattolo è sacro a Loki (dio del fuoco e del caos) per via del colore rosso acceso della pelliccia; per lo stesso motivo è caro a Thor, rosso di capelli.

Ratatoskr (dal norreno "dente che perfora") è, nella mitologia norrena, il nome dello scoiattolo che vive su Yggdrasill, l'albero cosmico. Ratatoskr percorre instancabilmente e con fulminea velocità il tronco dalle radici, dove si annida il serpente Níðhöggr, sino alla sommità dei rami, dove sta una grande aquila, facendo da tramite per le male parole che i due si scambiano incessantemente.

Secondo la filologa germanica, come asserisce Gianna Chiesa Isnardi, lo scoiattolo Ratatoskr rappresenta la velocità; suo compito è permettere che l'antagonismo fra cielo e terra, fra bene e male, fra sfera spirituale e sfera materiale non si interrompa mai.

Nella simbologia pittorica cristiana del Medioevo lo scoiattolo rappresenta il diavolo, sempre per il colore rosso della pelliccia oltre che per l'agilità e la rapidità.

Il tasso (Meles meles Linnaeus, 1758) è un mammifero carnivoro della famiglia Mustelidae; è specie protetta.

La specie è nota anche col nome di tasso comune o tasso europeo, per evitare di ingenerare confusione con altre specie di tasso (come il tasso americano o il tasso del miele), in quanto questi animali abitano appunto gran parte d'Europa, oltre che alcune porzioni del Medio Oriente e dell'Asia centrale.

Col suo metro di lunghezza e i quasi 17 kg di peso, questo animale rappresenta una delle specie di mustelidi di maggiori dimensioni. L'aspetto è quasi ursino, con corpo robusto e zampe corte e forti con grossi artigli adatti a scavare: la caratteristica mascherina nera sulla faccia bianca rende il tasso inconfondibile.

Il tasso è un animale notturno che passa la giornata a dormire all'interno di una delle numerose tane che questi animali scavano nelle zone boschive, e che spesso vengono condivise con altri animali: se molestato, esso si rivela un avversario temibile e tenace.

Un tasso adulto misura 60–90 cm di lunghezza, cui si sommano 11–24 cm di lunghezza della coda, per un'altezza al garrese di 25–30 cm: a parità d'età, i maschi sono solo leggermente più lunghi delle femmine, ma considerevolmente più pesanti.
Come osservabile in tutte le specie che sono solite andare in letargo, il peso del tasso varia stagionalmente: in primavera-estate un adulto pesa fra i 7 e i 13 kg, mentre durante l'autunno il peso aumenta fino a 15–17 kg, con osservazione di maschi pesanti fino a 27,2 kg e casi di esemplari di 30,8 e addirittura 34 kg, i quali, se confermati, farebbero del tasso di gran lunga il più pesante fra i mustelidi terrestri

Il tasso europeo è un animale dalle abitudini essenzialmente crepuscolari/notturne e più spiccatamente sociali rispetto a quanto osservabile nelle altre specie di tasso: questi animali sono infatti soliti vivere in gruppi che contano solitamente 5-6 individui, sebbene siano state osservate anche associazioni di oltre 20 tassi. Esiste probabilmente una correlazione fra le dimensioni dei gruppi e il tipo di habitat (con annesse risorse da esso fornite) nel quale essi si vengono a trovare, così come fra quest'ultimo e l'estensione del territorio: in ambienti favorevoli i singoli territori hanno generalmente un'estensione di circa 30 ettari, mentre in aree meno ricche essi possono estendersi anche oltre i 150 ettari. Nonostante i territori vengano ben delimitati dagli occupanti con latrine comunitarie poste in luoghi strategici (nei pressi di un'entrata della tana o di grosse fonti di cibo), secrezioni delle ghiandole odorifere e sentieri ben definiti all'interno del territorio, i tassi si dimostrano il più delle volte pacifici nei confronti di membri di gruppi estranei: sono in particolar modo i maschi, e soprattutto durante la stagione riproduttiva, a mostrare comportamenti territoriali anche aggressivi nei confronti di eventuali intrusi dello stesso sesso, dando vita a baruffe a suon di morsi e unghiate che possono causare ferite anche gravi e addirittura la morte di uno dei contendenti. Sono infatti in particolar modo i maschi a sconfinare nei territori adiacenti, alla ricerca di femmine con cui accoppiarsi durante la stagione riproduttiva.
Nell'ambito dei gruppi sono presenti, sebbene ancora poco studiate, dinamiche gerarchiche, con gli esemplari più grossi e forti che mostrano dominanza nei confronti dei giovani e di quelli di dimensioni minori: i vari membri di un gruppo possono spesso essere osservati compiere il grooming, pulendosi a vicenda la pelliccia con l'aiuto di bocca e unghie, un'attività che verosimilmente potrebbe avere anche funzioni social

Fatto insolito per un mustelide, il tasso comune condivide con l'orso bruno il singolare primato di "meno carnivoro fra i Carnivori": la sua dieta è infatti molto variabile ed opportunistica, comprendendo un gran numero di specie diverse di piante e animali, che vengono cercati e reperiti al suolo o nel sottosuolo.
Il tasso è solito concentrare ogni pasto su una singola tipologia di alimento, mangiando un quantitativo di cibo giornaliero pari circa al 3-4% della propria massa corporea e in ogni caso non è superiore al mezzo chilo, sebbene i giovani esemplari tendano a eccedere tali percentuali.

Si tratta di animali monogami: le coppie tendono a restare insieme per tutta la vita, col maschio che si accoppia unicamente con la propria partner, mentre la femmina può accoppiarsi anche con altri maschi, tanto che si stima che circa la metà dei cuccioli che una femmina dà alla luce durante la sua vita non siano figli del proprio partner

Il tasso è un tipico abitante delle aree boschive ben mature e con ricco sottobosco come querceti e boschi misti a latifoglie: si adatta tranquillamente alle zone cespugliose, ai pascoli e lo si trova anche nella macchia mediterranea e nelle aree montuose fino a 2000 m di quota nell'Arco Alpino e fino a 2500 m nel Caucaso, a condizione di avere un minimo di copertura di vegetazione che assicuri adeguato riparo. Evita invece le zone paludose, le aree costiere e i boschi di conifere, mentre le aree rocciose vengono colonizzate a patto che siano presenti anche edifici abbandonati o cavità naturali dove ripararsi.
Questo animale infatti si rivela anche molto adattabile all'impatto antropico: i tassi colonizzano infatti senza grossi problemi (anche se non con la frequenza di altre specie, come la volpe o il procione) anche le aree suburbane, i giardini, le zone coltivate e i parchi cittadini

Il tasso è un animale molto presente nella mitologia europea, dove la figura di questo animale viene connessa a quella dell'orso per l'aspetto ed è generalmente di buon augurio in quanto legata all'arrivo della bella stagione: generalmente il tasso compare come personaggio solitario, pacifico, burbero, misterioso e amante della propria dimora, che però rivela doti insospettabili di bontà, forza e anche aggressività quando provocato, caratteristiche queste mutuate dalle abitudini fossorie, notturne e letargiche dell'animale.
La volpe rossa, o semplicemente volpe (Vulpes vulpes Linnaeus, 1758), è la più grande delle volpi propriamente dette e il carnivoro con l'areale più vasto, si trova in tutto l'emisfero boreale ad eccezione dei deserti di Stati Uniti, Messico e Sahara; può vivere in qualsiasi ambiente ma si trova maggiormente nei boschi e nelle foreste.

La volpe rossa vive solitamente in coppia o in piccoli gruppi rivolti a una coppia riproduttiva e la sua prole o da un maschio con varie femmine imparentate. I cuccioli cresciuti tendono a rimanere con i genitori per assisterli nella cura di nuovi piccoli. Sebbene tenda a uccidere i predatori più piccoli, incluse altre specie di volpe, è vulnerabile agli attacchi di predatori più grossi come lupi, coyote, sciacalli e vari felini di grossa (come i leopardi) o media taglia (come le linci).

Questi animali possono misurare fra i 75 e i 140 cm, per un peso che varia dai 3 ai 15 kg: queste misure rendono la volpe rossa il più grande appartenente al proprio genere. Il colore, spesso rossiccio, va dal giallo al marrone, a seconda degli individui e delle regioni. La gola, il ventre e l'estremità della coda sono bianche; quest'ultima è lunga e folta. Il muso è allungato e le orecchie sono triangolari ed estremamente mobili.

Nonostante sia classificato come carnivoro la volpe è un animale onnivoro nonché grande opportunista. È in grado di cacciare prede di diverse dimensioni, da insetti di 0,5 cm di lunghezza a uccelli di 1,5 m di apertura alare. La sua dieta si basa su una grande varietà di specie: invertebrati, piccoli mammiferi, uccelli, uova e piccoli anfibi e rettili. Tra i vegetali particolarmente graditi ci sono i frutti di bosco e altri tipi di frutta. Possono anche nutrirsi di carogne e di qualsiasi cosa di commestibile incontrino. Le volpi sono solite cacciare da sole. Con il loro raffinato senso dell'udito possono individuare piccoli mammiferi tra l'erba alta e folta balzando in aria e finendo su di loro. Possono anche cacciare prede quali i conigli appostandosi in modo furtivo e silenzioso e balzando con un rapido scatto su di loro. Le volpi tendono ad avere un atteggiamento molto ossessivo nei confronti del cibo e raramente lo condividono con gli altri esemplari: fanno eccezione i comportamenti del periodo degli amori e delle madri con i propri cuccioli.

La quantità di cibo consumata giornalmente varia dai 0,5 kg a 1 kg. Le volpi rosse hanno uno stomaco piccolo rispetto alle loro dimensioni e per questo motivo possono mangiare solo la metà di quello che possono ingerire i cani o i lupi rispetto alla loro stazza. Nei periodi di abbondanza le volpi mettono da parte scorte alimentari per il futuro seppellendole in piccole buche di 5–10 cm. Tendono a nascondere il cibo in tanti piccoli nascondigli piuttosto che in un unico 'grande magazzino'. Si pensa che agiscano in questo modo per non rischiare di perdere l'intera scorta in una sola volta.

Normalmente vive in coppia, con i cuccioli, anche se talvolta è possibile osservarne esemplari solitari o in gruppi di 4 o 6 adulti. Il maschio marchia il territorio in modo sistematico e comunica con i propri simili attraverso segnali sonori, visivi, tattili e olfattivi. Una volpe può riconoscere un altro esemplare dall'odore, oltre a decifrarne il rango gerarchico e il livello sociale. È significativo sottolineare che, in questa specie, la coppia tende a riformarsi ogni anno e che il maschio solitamente partecipa attivamente alla cura e all'allevamento della prole, procurando il cibo e difendendo i cuccioli da possibili predatori.

Per vivere in una grande varietà di ambienti diversi, le volpi devono avere una grande capacità di adattamento. Non deve sembrare strano infatti il fenomeno di due popolazioni distinte di volpi che si comportano come se fossero specie totalmente differenti. Le volpi sono animali crepuscolari o addirittura notturni nelle zone in cui l'intervento dell'uomo è massiccio (e c'è presenza di luce artificiale); per queste ragioni sono più attive di notte che di giorno. Generalmente sono cacciatori solitari. Le volpi sono animali territoriali e difendono il loro territorio in coppia durante l'inverno e da sole durante l'estate. Il loro territorio può estendersi per 50 km² anche se può ridursi drasticamente anche fino a 12 km² in zone in cui il cibo è abbondante. Marcano il loro territorio mediante delle ghiandole odorifere poste vicino alla coda. La sostanza odorosa secreta da questa ghiandola è composta da tioli e tioacetato, molto simile, anche se posseduta in minor quantità, a quelle dalle puzzole. I membri della famiglia comunicano tra loro attraverso il linguaggio del corpo e l'emissione di suoni differenti. Posseggono una vasta gamma di vocalizzazioni utilizzate in base alle situazioni più specifiche. Possono inoltre comunicare tra loro mediante l'olfatto e per questo spesso marcano il cibo e il territorio con l'urina. Spesso utilizzano tane usate da animali come tassi o conigli. I tassi sono tra i principali nemici delle volpi e spesso minacciano di divorare i cuccioli.

Il periodo di riproduzione è molto variabile e cambia secondo la latitudine: in Italia ha luogo in inverno, tra dicembre e febbraio. I parti avvengono generalmente tra marzo e aprile. La femmina, dopo una gestazione di 7 settimane, partorisce, in una tana, in media da 3 a 5 piccoli, che vengono allattati per un mese. AI termine di questo periodo essi iniziano a prendere i primi cibi solidi, costituiti da alimenti predigeriti dalla madre e poi rigurgitati. Questa tecnica è molto vantaggiosa poiché permette di nutrire la cucciolata senza portare le carcasse vicino alla tana e nel contempo fa sì che i piccoli non debbano spostarsi alla ricerca di cibo, esponendosi a eventuali pericoli. Durante le prime due settimane di vita, la madre non abbandona i cuccioli, si dedica interamente al loro allattamento e viene nutrita dal maschio. La femmina non esita a trasportare in luoghi più sicuri i propri piccoli se, nei pressi della tana, vengono a crearsi fattori di disturbo. I piccoli escono dalla tana per la prima volta intorno alla quarta o quinta settimana e sono molto giocherelloni. In genere la volpe si nasconde nei rovi, nelle tane e in case abbandonate. Cercano luoghi caldi e asciutti in inverno, mentre in estate cercano luoghi freschi e umidi. La volpe femmina in genere produce i suoi cuccioli vicino all'acqua perché una volta partorito la volpe è disidratata e deve abbeverarsi.
In natura, questa specie può raggiungere un'età di 12 anni.

La specie ha una lunga storia d'associazione con gli umani, essendo stata cacciata attivamente come animale nocivo o da pelliccia per molti secoli, ed è protagonista di tante fiabe e leggende (numerosi sono infatti i racconti che narrano l'intelligenza di questo animale).

Quanto sono chiare le informazioni su questa pagina?

Valuta da 1 a 5 stelle la pagina

Grazie, il tuo parere ci aiuterà a migliorare il servizio!

Quali sono stati gli aspetti che hai preferito? 1/2
Dove hai incontrato le maggiori difficoltà? 1/2
Vuoi aggiungere altri dettagli? 2/2
Inserire massimo 200 caratteri